Infrastrutture: la lunga via per la sostenibilità – ISPI

Infrastrutture: la lunga via per la sostenibilità – ISPI

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In un contesto di revisione delle catene del valore, le infrastrutture rappresentano la spina dorsale del sistema economico e del tessuto produttivo. La messa in sicurezza e lo sviluppo delle reti infrastrutturali garantiscono il corretto funzionamento degli scambi nazionali e internazionali, e sostengono le attività delle imprese nel raggiungere i mercati di esportazione o per l’acquisizione degli input necessari alla propria attività. Sia nella fase di costruzione, sia in quella di esercizio, le infrastrutture producono moltiplicatori fiscali, producendo un effetto positivo di lungo periodo sul Pil, sull’occupazione e, soprattutto, sulla produttività e competitività complessiva del sistema economico. Il sistema infrastrutturale a sostegno dei commerci è oggi messo in discussione dalla continua emersione di crisi globali e regionali alle quali si aggiunge la necessità di una trasformazione epocale in senso sostenibile. Dunque, nell’attuale contesto internazionale, le infrastrutture assumono un ruolo sempre più cruciale per quel che concerne la dimensione geopolitica. Si confrontano piani di connettività contrapposti, che spesso possono andare a detrimento dell’efficienza economica complessiva ma assicurano una diversificazione delle rotte, e quindi dei rischi connessi. Tutti questi elementi sono considerati nel quadro dell’attuale revisione del Regolamento TEN-T, che ha come obiettivo fondamentale migliorare l’efficienza dei grandi corridoi trans-europei, favorendo la mobilità di passeggeri e merci, soprattutto a livello transfrontaliero.

Quanto valgono gli investimenti infrastrutturali?

I moltiplicatori associati alla spesa pubblica e agli investimenti infrastrutturali sono in media circa il doppio di quelli derivanti da tagli alle tasse e trasferimenti fiscali. Tra le categorie di spesa pubblica, i moltiplicatori relativi agli investimenti pubblici presentano i valori più elevati, in genere intorno a 1,5, il che significa che un dollaro di investimento pubblico porta a 1,5 dollari di attività economica. In particolare, si è rilevato che gli investimenti pubblici in infrastrutture hanno un moltiplicatore fiscale medio di circa 0,8 entro 1 anno e di circa 1,5 entro 2-5 anni. (Fonte Global Infrastructure Hub, G20). L’entità dei moltiplicatori è molto sensibile al contesto economico in cui avviene lo stimolo. In particolare, i moltiplicatori della spesa pubblica sono significativamente più alti durante le fasi di recessione che nei periodi di crescita sostenuta o di boom (dove sono solitamente stimati negativi e mai significativamente positivi). Lo stimolo fiscale può essere particolarmente efficace (e il moltiplicatore di conseguenza maggiore) quando la politica monetaria è allentata con tassi di interesse prossimi allo zero. Questo perché si può prevedere che una spesa pubblica più elevata faccia aumentare l’inflazione, che a sua volta spinge l’interesse reale in territorio negativo, dando ulteriore impulso all’economia stimolando i consumi privati e la spesa per investimenti.

In questo quadro assume sempre più centralità il tema della decarbonizzazione dei trasporti e del modal shift, con il passaggio del trasporto delle merci dalla gomma alla ferrovia, che produce meno emissioni. Anche il settore del trasporto marittimo verrà coinvolto in questo processo, attraverso l’inclusione progressiva nel quadro dell’Emission Trading System (ETS).

Quali sono le crisi che hanno riportato alla luce tema infrastrutture?

Le infrastrutture hanno dovuto adattarsi a molteplici crisi che hanno messo a dura prova il corretto ed efficiente funzionamento della logistica. Prima la Brexit, che ha complicato gli scambi con il Regno Unito, e ha interrotto lo UK landbridge che permetteva la connettività tra Irlanda e resto dell’UE via Gran Bretagna. Successivamente, la crisi del Covid. La pandemia ha sconvolto le catene di approvvigionamento a causa della perdurante paralisi alla produzione, bloccando le vendite e facendo traboccare i magazzini. C’è poi stato un aumento di domanda da parte di consumatori e di alcune industrie e, allo stesso tempo, gli armatori hanno ridotto la capacità per ridurre le perdite. Un container da 40 piedi lungo la rotta Shanghai-Rotterdam era arrivato a costare fino a 16.000 dollari. A ciò si sono aggiunte le crisi di natura geopolitica. Nel 2022, il conflitto in Ucraina, che ha complicato gli approvvigionamenti agricoli dal Mar Nero, nonché gli arrivi di materie prime critiche di cui l’Ucraina era grande produttrice. Ciò ha indotto l’UE a varare le solidarity lanes, per favorire gli scambi via terra tra Ucraina e il resto dell’Unione, creando un’alternativa sostenibile alla via marittima. Infine, la crisi del Mar Rosso, con il gruppo yemenita degli Houthi che, solidarizzando con la causa palestinese, ha iniziato un’attività continua di attacchi verso le navi – soprattutto occidentali – transitanti lungo lo Stretto di Bab-el-Mandeb, causando innumerevoli danni e un aumento dei costi di assicurazione ma soprattutto favorendo la ricerca di vie di comunicazioni alternative lungo la direttrice Asia-Europa, in particolare attraverso il Capo di Buona Speranza. Ciò ha comportato un aumento dei tempi di trasporto, fino a 10-14 giorni in più e un aumento dei costi dei noli, anche a causa del maggiore carburante necessario e delle minori portacontainer disponibili. Al 25 giugno, un container da 40 piedi lungo la direttrice Shanghai-Genova costa 5100 dollari, contro circa 1400 ad ottobre 2023. Ciò si potrebbe tradurre anche in un rischio per i porti del Mediterraneo e italiani, considerando che la circumnavigazione dell’Africa potrebbe favorire l’approdo verso porti atlantici, con feeder che alimentano poi i porti italiani, o direttamente verso i porti del Nord Europa. Complessivamente, il volume del cargo marittimo via Suez si è ridotto a maggio 2024 del 68% rispetto al 2023, mettendo in crisi uno dei Canali (Suez) e degli Stretti (Bab-el-Bandeb) da cui transita il 12% del traffico marittimo globale e il 22% di quello container.

In questo contesto, per l’Italia si presentano anche le sfide di connettività con il resto d’Europa. Il traforo del Monte Bianco è in fase di manutenzione e vede quindi costanti chiusure, così come è interrotto a causa di una frana da ottobre 2023, il collegamento ferroviario tra Italia e Francia del Frejus. Anche nel Gottardo sono stati registrati problemi, così come nel Brennero, con l’Austria che spesso blocca il traffico di camion pesanti, in attesa che sia realizzato il nuovo tunnel ferroviario.

Cosa succede alle infrastrutture a livello globale?

Nell’attuale quadro di crescenti tensioni internazionali, sta progressivamente cambiando la geografia degli scambi alla luce delle politiche di revisione dell’interdipendenza economica globale trainate da politiche industriali volta alla rilocalizzazione della capacità produttiva in settori critici. Se cambia la geografia industriale e degli scambi, la connettività internazionale e la logistica devono adeguarsi al mutato scenario. Ne sono prova i diversi piani infrastrutturali avviati dalle maggiori Potenze occidentali in risposta al primo grande piano di revisione della globalizzazione, la Belt and Road Initiative della Repubblica popolare cinese.

  • La Cina supera la soglia di 1,000 miliardi di dollari investiti in infrastrutture nel mondo, attraverso la sua Belt and Road Initiative (BRI), che sin dal 2013 ha promosso lo sviluppo infrastrutturale nei Paesi partner (155), ma è stato spesso criticata per determinare o accelerare situazioni di dipendenza economica e stress finanziario nei Paesi riceventi. Negli ultimi anni, di fronte alla competizione internazionale e alla crisi del modello BRI, è cambiato il paradigma degli investimenti: più sostenibili e con meno stress finanziario per i Paesi riceventi, la cosiddetta BRI 2.0.
  • I Paesi del G7 e del campo occidentale, nel corso degli ultimi anni, hanno lanciato piani per contrastare gli investimenti BRI e affermare i propri standard tecnici, finanziari, sociali, ambientali. Nel 2022 è stata creata la Partnership for Global Infrastructure Investment (PGII), piano del G7 da 600 miliardi di dollari per favorire investimenti pubblici e privati nei Paesi a medio e basso reddito, anche per promuovere la loro inclusione nelle catene del valore occidentali.
  • L’UE intende giocare un ruolo di primo piano attraverso il piano da €300 miliardi “Global Gateway”, lanciato a fine 2021 e con un piano di azione fino al 2027. Il piano concentra il suo fuoco finanziario su Africa (150 miliardi di euro) e su America Latina e Asia centrale, e tende a favorire la creazione di alleanze economiche e infrastrutturali con Paesi like-minded, in particolare Paesi in via di sviluppo che condividano un approccio geopolitico simile.
  • Il recente G7 Trasporti di aprile a Milano, nonché il G7 dei Leader a giugno in Puglia, hanno ribadito l’importanza fondamentale di diversificare le possibilità di connettività e le modalità di trasporto con il resto del mondo, prefigurando anche un ruolo per il Piano Mattei, in coordinamento con la PGII e il Global Gateway. Verso tale obiettivo si inseriscono quindi i finanziamenti previsti per rafforzare la connettività con l’Africa, potenziare la connettività tra Est e Ovest attraverso nuovi investimenti nel Middle Corridor, con la prospettiva di investimento fino a €30 miliardi. Se il Corridoio Nord della lungo la rotta Est-Ovest, passante dalla Russia, è messo in crisi dal conflitto in Ucraina e dalle conseguenti sanzioni, il Middle Corridor acquisirà progressivamente un ruolo centrale, come segnalato nello scorso numero della Newsletter, seppure con alcuni limiti di natura tecnico-infrastrutturale, finanziaria, politica e regolamentare. Infine, come descritto, la crisi nel Mar Rosso mette in crisi il corridoio marittimo meridionale di connettività Europa-Asia.
  • Nel contesto della crisi del Mar Rosso, trova slancio la proposta di un nuovo corridoio logistico tra India, Medio Oriente ed Europa, che rafforzerebbe il ruolo del Mediterraneo, bypassando il Canale di Suez, e connetterebbe maggiormente l’Europa con due poli emergenti dell’economia e della logistica mondiale. Tuttavia, questo corridoio non intercetterebbe le stesse direttrici di traffico – la Cina ne sarebbe esclusa – e permangono ancora dubbi sulla sua sostenibilità economica e percorribilità dal punto di vista politico.

Il progressivo invecchiamento delle infrastrutture nei Paesi avanzati richiede un salto nel volume dei nuovi investimenti anche per quanto riguarda la dotazione infrastrutturale interna, al fine di mantenere un adeguato livello competitivo, in particolare nel settore logistico.

  • L’approvazione della Bipartisan Infrastructure Law negli USA nel 2021 segna l’inizio di una modifica sostanziale delle politiche di investimento infrastrutturale del Paese, che nel corso degli ultimi decenni avevano visto una decelerazione e un progressivo deterioramento nella dotazione infrastrutturale del Paese, in particolare se confrontato con i principali competitor internazionali. Il piano da circa 1.100 miliardi di dollari, cambia lo scenario e prevede importanti investimenti in rete stradale e ferroviaria, porti, rete elettrica, trasporto pubblico, connettività digitale e infrastrutture idriche.
  • Dal canto suo, l’Unione europea, con il lancio del Next Generation EU, prevede di destinare il 37% dei 807 miliardi di euro allocati ad investimenti per la transizione energetica, comprese infrastrutture di trasporto sostenibili. In secondo luogo, la revisione delle reti fondamentali del trasporto europeo TEN-T (Trans European Networks – Trasport) è funzionale al conseguimento degli obiettivi di decarbonizzazione del settore, con la riduzione delle emissioni il trasporto del 90% entro il 2050. La revisione prevede un’accelerazione dei collegamenti tra i principali nodi urbani, ferroviari e aeroportuali dell’Unione, con la previsione di una velocità di almeno 160 km/h sulle tratte principali della rete TEN-T. Infine, nel quadro del bilancio pluriennale dell’Unione 2021-2027 sono stati destinati ad investimenti infrastrutturali di trasporto, attraverso il Connecting Europe Facility, circa 26 miliardi di euro, a cui si aggiungono 11 miliardi attraverso i fondi di coesione.

June 25, 2024 at 08:55PM

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