Imprese e sostenibilità: chi vuole la svolta (e chi no) – Elle

Imprese e sostenibilità: chi vuole la svolta (e chi no) – Elle

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Lo sviluppo sostenibile è un’utopia necessaria. Le donne possono essere il soggetto fondamentale per realizzarlo. Enrico Giovannini, economista, ex ministro e direttore scientifico dell’Alleanza per lo sviluppo sostenibile (Asvis), non nasconde le difficoltà, ma crede nel cambiamento.

Ivan Romano//Getty Images

Enrico Giovannini, 66 anni, economista, ex ministro e direttore scientifico dell’Alleanza per lo sviluppo sostenibile (Asvis).

Professore, lei ha affermato che quella che si chiude in Europa «è una legislatura in cui c’è stata una decisa svolta verso la sostenibilità». In cosa ha visto questo cambiamento?

La sostenibilità non è solo una questione ambientale, ma anche economica, sociale e istituzionale. È sostenibile lo sviluppo che consente alle generazioni attuali di soddisfare i propri bisogni senza pregiudicare la possibilità per le generazioni future di fare altrettanto. È un tema di giustizia tra le generazioni. L’Unione Europea è già il luogo più sostenibile al mondo, ma non è su un sentiero di sviluppo sostenibile. Abbiamo 300.000 morti premature ogni anno per malattie legate all’inquinamento, 52.000 delle quali in Italia. La qualità degli ecosistemi marini e terrestri è in continua caduta. L’Europa tende a riscaldarsi più della media mondiale, in particolare nelle aree del Sud. I costi della mancata lotta al cambiamento climatico saranno molto ingenti. Sul piano dei diritti e dell’uguaglianza abbiamo infine una quantità elevata di persone che sono a rischio di povertà o di esclusione sociale. Non lavorano oppure non guadagnano a sufficienza. Si immagini dunque di essere Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, nel 2019: la scelta è stata netta. Mettere gli obiettivi dell’agenda Onu 2030 sulla sostenibilità al centro, fin dalla lettera di incarico ai commissari. Le azioni UE in questi anni sono state senza precedenti. Strategie, direttive e regolamenti mostrano questo salto di qualità, che mette sotto pressione i sistemi economici dei Paesi dell’Unione come non accade in nessun’altra parte del mondo. Cito sempre un grande pensatore come John Belushi in Animal House: “Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare”. Senza politiche economiche adeguate, transizione ambientale e digitale rischiano di aumentare le diseguaglianze, anziché ridurle.

Come si può rendere questo processo più equo e accettabile per i cittadini?

Riconoscendo che l’inazione costa di più. E che colpisce soprattutto i più deboli. Persone a reddito basso, con poca istruzione, che vivono in luoghi insalubri. Il miglioramento delle abitazioni, per esempio, porterà beneficio soprattutto a chi oggi non è in grado di pagare le bollette energetiche. In Italia dovremmo smettere di discutere sul se e parlare invece del come. La direttiva sulle case green richiede una maggiore efficienza energetica delle abitazioni. Molti non sono in grado di affrontare gli investimenti necessari. Dobbiamo pensare a strumenti di finanza che permettano di farlo. Lo stesso per la mobilità. Spendo oggi per risparmiare domani. La politica deve occuparsi di chi non ce la fa, tenendo insieme gli aspetti ambientali e quelli economici e sociali. Il no alle case green, alla mobilità elettrica, non è una risposta. Continueremo ad avere quei 52.000 morti l’anno.

Esiste però, per una vasta parte dell’opinione pubblica, una percezione negativa dei vincoli ambientali.

Questo non è un tema su cui applicare la par condicio da parte dei media. Uno studio scientifico e il primo che passa non possono ricevere lo stesso grado di attenzione e di spazio. L’onere della prova dovrebbe spettare a coloro che dicono “rinviamo”. Perché tutti i dati dimostrano il contrario. Tra il 2013 e il 2019 l’Italia ha speso 20 miliardi di euro per i danni da eventi atmosferici estremi, e solo 2 miliardi in prevenzione. Non ha senso. Gli uomini ultracinquantenni hanno resistenze molto profonde ad accettare questa realtà. La stragrande maggioranza delle responsabili della sostenibilità nelle imprese sono donne. Quando si trattò di promuoverle, la logica dominante affidò loro quest’area come se fosse un giocherello. Oggi questo è il settore più importante, e le donne hanno una sensibilità e strumenti migliori per affrontare inclusione e giustizia intergenerazionale. Lobby e potere maschile, tuttavia, esercitano ancora una vasta influenza, anche nel modo in cui i media si accostano a questi argomenti.

Veniamo ai nostri comportamenti quotidiani. Siamo consumatori, risparmiatori. Ambiti evidenti in cui possiamo agire come singoli.

In primo luogo, io parlerei dei comportamenti di cittadinanza: votare. Tra qualche giorno andremo al rinnovo del Parlamento europeo e di 4.000 amministrazioni locali. Nel rapporto Asvis abbiamo confrontato i programmi elettorali dei partiti in vista delle europee. Ci sono differenze molto rilevanti. Bene votare e farlo informati. Il nostro voto conta e può contare doppio se va nella direzione dello sviluppo sostenibile. I consumi sono un altro capitolo molto importante, ma qui dobbiamo tenere presente che una vasta parte di cittadini non può compiere queste scelte in libertà. Abbiamo 5,5 milioni di poveri, giovani che non studiano e non lavorano. La sostenibilità è una straordinaria occasione economica e sociale per il nostro Paese. Abbiamo 3 milioni di lavoratori irregolari, cento miliardi di evasione fiscale, mille morti l’anno sul lavoro. Gli strumenti per informarci sul cambiamento ci sono.

Un suo libro di qualche anno fa si intitola L’utopia sostenibile, un apparente ossimoro. È sostenibile o utopico ciò di cui stiamo parlando?

È indispensabile, un’utopia necessaria. Nel nostro rapporto c’è anche uno scenario catastrofico in cui nel 2100, a soli 75 anni da oggi, senza la trasformazione di cui stiamo parlando il Pil va a zero.

Cosa vuol dire?

Che l’economia e la società come le conosciamo non funzionano più. Con 5 gradi medi di aumento delle temperature, collassano. Costi inimmaginabili, le alluvioni della Romagna moltiplicate molte volte, la siccità come condizione permanente. Non credere nell’utopia significa scommettere sul disastro. L’utopia è un riferimento. Realizzare un mondo diverso si può.

LOIC VENANCE//Getty Images

La centrale termoelettrica a carbone di Cordemais (sullo sfondo) e i campi allagati dall’alta marea nei pressi della foce della Loira, in Francia

July 3, 2024 at 12:17PM

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