Première vision scommette su sourcing e sostenibilità – Milano Finanza

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La fiera Première Vision a Parigi (courtesy Première Vision)
La fiera Première Vision a Parigi (courtesy Première Vision)

A pochi giorni dalle Olimpiadi, che sicuramente hanno impattato la partecipazione agli eventi di moda a Parigi, Première vision, conclusasi ieri 4 luglio, ha registrato una flessione nel numero dei suoi espositori, 937 provenienti da 39 paesi contro i 1.315 dell’edizione 2023, ma grazie alla presenza di grandi buyer internazionali il business si è mantenuto soddisfacente. Il salone rappresentava l’esordio della presidente del direttorio Florence Rousson alle redini della manifestazione parigina, in previsione del varo di nuove strategie secondo un calendario che sarà presentato in autunno.

«Non cambierà la nostra politica legata ai servizi», ha affermato la manager. «Abbiamo lanciato a febbraio un programma per mettere in contatto i produttori con potenziali clienti e in questi 3 giorni il numero di appuntamenti è quadruplicato. Grazie invece al programma Hosted guess abbiamo portato nomi come Gucci, Prada, Dolce&Gabbana, Burberry, Alexander McQueen e Calvin Klein e anche dei brand che sono dei riferimenti per i materiali tecnici come Patagonia e The North face».

Davanti a un mercato che registra delle difficoltà, Rousson insiste: «Première vision deve confermarsi un luogo privilegiato di ispirazione e di dibattito, su tutte le tematiche legate al sourcing e alla moda, anche se la dimensione business resta prioritaria». Sotto i riflettori la Smart creation, con una parte dedicata ai deadlocks con aziende come Nona source, Aptiva e uno spazio agli scampoli degli espositori. I tessuti eco-responsabili sono al centro dell’attenzione.

«I clienti desiderano tessuti che riflettano un impegno ambientale ed etico», ha sottolineato. In fiera è stato presentato uno studio dell’Institut français de la mode sui giovani consumatori dal quale emerge che le condizioni di lavoro rappresentano uno dei requisiti ai quali le generazioni future sono più sensibili nell’ambito della produzione di moda, forse ancor più che quelli ambientali. (riproduzione riservata)


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